domenica 25 maggio 2008

EBRAISMO (fuori dalla tradizione cri­stiana)

1. PREMESSA. - Il popolo ebraico, che era stato veicolo della Rivelazione, quando questa si presentò nella sua pie­nezza con Cristo e gli apostoli, la rigettò, almeno nel maggior numero dei suoi com­ponenti, e si pose fuori della Chiesa, pur continuando una sua vita religiosa con un proprio culto, proprie credenze e una pro­pria morale.
Riecheggia qui molto del Vecchio Testa­mento, ma l’orientamento generale è diven­tato anacronistico, perché mentre la Chiesa è tutta rivolta a colui che è venuto a redi­mere e a salvare, l’ebraismo è proteso in un’at­tesa che non può essere che vana ed, al­meno nella realtà oggettiva, blasfema.

2. CULTO - La parola abhodah, che stava ad indicare l’azione liturgica in forma di culto sacrificale cruento passa, dopo la ca­duta del tempio di Gerusalemme, a signi­ficare preghiera. La vittima viene offerta in dono per ottenere la riconciliazione con Dio; nelle preghiere e nelle opere di carità l’uomo si dona, si offre. Il servire Iddio con tutto il cuore (Deut. 11, 13) si riferisce — così i dottori palestinesi — alla preghiera, il che vale anche per Osea (14, 3): «Perdona ogni iniquità e accetta la parola (e non “bene”) e noi vogliamo reintegrare (i rab­bini interpretano pagare = pacare) i gio­venchi con le nostre labbra».
All’imbrunire e per tutta la notte si teme­vano i dèmoni, ma i dottori insistevano fosse ricordato ogni sera l’esodo dall’Egitto, cioè l’opera protettrice e salvifica di Dio. Ecco il significato che i dottori volevano fosse attribuito ai filatterii sul braccio e sulla fronte e ai rotoli di pergamena appli­cati sugli stipiti delle porte che l’Oriente semitico considerava sede preferita dei geni malefici.

3. CREDENZE - L’idea della legge rivelata richiama di continuo alla mente il Legi­slatore, Dio santo e trascendente. Senza accettare l’idea di ipostasi, l’ebraismo post-biblico considera Iddio personificazione della Sa­pienza e del Verbo (Logos, memrâ), sebbene in un senso ben differente da quello cri­stiano. Ogni uomo adulto in Israele recita mattina e sera lo Ascolta (Deut. 6, 4-9; 11, 13-21; Num. 15, 37-41), il Credo del­l’unità assoluta di Dio. Prima e dopo lo Ascolta vengono dette talune benedizioni. Dopo la recita si ripete un brano liturgico (È vero e saldo) che conferma il contenuto del testo fondamentale.
Le Diciotto Benedizioni trattano di Dio come Dio dei patriarchi, di Dio che dona la pioggia e fa risorgere i morti; Dio san­to, datore della conoscenza interiore della verità, potere discriminativo tra bene e male; Dio datore dei prodotti della terra; da lui si invoca pure la conversione di quelli che sono lontani dalla fede di Dio e la grazia di far convergere i fedeli tutti dispersi sul suolo sacro. Le ultime bene­dizioni invocano pane e offrono lodi al Signore.
Israele si considera popolo eletto ed in rapporto di alleanza con Dio ossia popolo che il Signore protegge. Ad Israele il Si­gnore ha affidato una missione sacerdotale fra i popoli. Il Messia è il re unto da Dio stesso e che apporterà salvezza ad Israele, giustizia e salvezza al mondo intero.

4. MORALE - La vita dell’uomo in Israele si compone, naturalmente, di opere buone e di peccati, meriti e demeriti, e ogni uomo, e non solo il popolo come collettività, sarà giudicato da Dio. Si riconosce il principio della fragilità umana, ma non quello del peccato originale. Con l’aiuto della Legge l’uomo deve lottare contro il male, benché egli dipenda in tutto da Dio. Lo studio della Legge allontana l’uomo dal peccato e gli schiude la via verso la santità.
A base della morale sta il Decalogo. La morale conserva un carattere religioso e le­gale. La regola d’oro suona: Non fare ad altri quanto vorresti a te non fosse fatto, ossia si preferisce la forma negativa a quella positiva. La vita va considerata come posta al servizio di Dio per amore e non già per interesse. L’uomo deve conservare un certo rispetto per se stesso, deve invocare da Dio il perdono dei peccati, osservare le feste, i digiuni e le pratiche espiatorie senza pur tuttavia darsi al soverchio ascetismo e senza amore per il dolore e le sofferenze. Si dà molto peso ad una vita familiare limpida e basata sul reciproco rispetto ed affetto; lo stato di verginità non viene apprezzato. Il vincolo coniugale è solubile attraverso libera consegna ed accettazione del libello di ripudio dinanzi al tribunale rabbinico. Al dovere di amare Iddio viene associato quello di amare il correligionario, ma anche lo straniero in memoria del fatto che stra­nieri foste nella terra d’Egitto e così cono­scete l’animo dello straniero. Il dovere della giustizia e della carità vige in confronto di chiunque. La carità vale per il suo conte­nuto di bontà.

5. MISTICA - In quanto alla vita mistica, non si presuppone lo stato d’estasi, l’ina­bissarsi dell’uomo in Dio. Le dottrine mi­stiche si basavano sul concetto del cocchio di Dio presso Ezechiele, sulla visione celeste di Isaia che ode il trisaghion; del resto si tratta di vita religiosa interiore. La letteratura mistica riguarda inoltre l’opera della creazione da parte di Dio e l’uomo pree­sistente, esponente delle dieci sefiroth e il mistero del nome di Dio. La preghiera ha per scopo di creare un vincolo d’unione tra l’orante e Dio. L’amore di Dio implica la prontezza di dare la vita per così santi­ficare il nome di Dio. La letteratura cab­balistica, dal punto di vista storico-letterario, va considerata un prodotto medioevale, ma la dottrina come tale risale nei suoi elementi costitutivi ai tempi del sorgere del cristia­nesimo. L’opera principale ne è lo Zohar (Splendore). Il pietismo, hassidismo, rap­presenta il rifiorire del cabbalismo in tempi a noi più vicini.
La celebrazione delle principali feste e del sabato è ricca di elementi mistici fram­misti ad elementi angelologici.

6. RILIEVI CRITICI - Più che la morale nell’ebraismo è il culto e il dogma che costituiscono offesa a Dio, perché in ciò che hanno di diverso dal cristianesimo si basano sul ri­fiuto di ascoltare la sua voce, che si è fatta udire con più alta risonanza nella pienezza dei tempi (cfr. Giov. 1, 1 ss.). Di conseguenza gli atti di culto ebraico costituiscono atti contrari alla virtù della religione, perché onorano Dio con culto ormai falsato dagli avvenimenti e la morale è restata imperfetta per non aver accolto l’integrazione ed il perfezionamento portato da Cristo.


Prof. Eugenio Zolli
Già Incaricato di Ebraico e di Lingue Semitiche comparate nell’Università di Rroma.


BIBLIOGRAFIA – A. VINCENT, Le judaïsme, Strasbourg 1932; J. BONSIRVEN, Le judaïsme palestinien, I, Paris 1934 e II, Paris 1935 (versione italiana) ; L. BOUYER, La Bible et l’Evangile, Paris 1951.

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